
Mille anni di storia e il meglio che proviene dal mare e dagli orti
La cucina chioggiotta è basata su due tipologie di ingredienti: quelli approvvigionati con la pesca e quelli che si coltivano sulla terra. In entrambi i casi a determinarne la qualità è la stagionalità. Sì perché il mare funziona esattamente come un orto: a tempo debito offre il meglio di se, a patto di saper aspettare e a patto che la mano che li pone in ricetta conosca intimamente le stagioni e le sue esigenze. E’ così, del resto, che nascono i piatti celebri della cucina chioggiotta, coniugando il meglio del pescato con ciò che arriva dagli orti: cipolle bianche, carote, il celebre radicchio di Chioggia Igp o l’immancabile zucca, che nelle commedie di Goldoni è motivo di aspre “Baruffe” e che invece in cucina diventa delicato ingrediente per ripieni e zuppe. Un certo fascino lo aggiungono i nomi, “saor”, per esempio, è vera poesia e più che una ricetta indica un sistema di conservazione. Cipolle e aceto, infatti permettevano nella cucina povera di un tempo di superare l’assenza di frigoriferi. “Cibo di marinai e scorta di terraferma” definiva Bepo Maffioli le celebri “saldele” mentre in un ricettario di un anonimo veneto del ‘400 il “saor” è indicato come “salsa agrodolce per il pesce”. Ancora l’aceto è il protagonista di un altro piatto povero dei pescatori, la “luserna incovercià”, ossia la gallinella di mare preparata con una doppia cottura, la prima alla griglia e ripresa poi in padella con l’aceto. Altro piatto che il ricercatore di sapori autentici non può lasciarsi scappare sono “bibarasse in cassopipa”, oppure il “broeto”, o ancora il “bisato”, ossia l’anguilla, la “granseola”, un grosso granchio dalla polpa morbidissima, le “moeche”, i granchi fritti durante il periodo di muta, per arrivare al semplice pane, ossia il “bussolà”, o i dolci delle feste come i “papini” o la “torta ciòsota” a base di radicchio.