“El Gato”, un graffio di stile
Sotto la Torre di Sant’Andrea c’è uno dei locali simbolo di Chioggia: Karen, Tiziano e Daniele Bissacco ripropongono la tradizione con un linguaggio originale, forti di una materia prima adriatica a “metri 0”. Il ristorante è attento anche all’estetica, nel piatto e nell’ambientazione
Chioggia che si ritrova, oltreché candidata a Capitale italiana per la cultura 2024, inaspettatamente anche fra le destinazioni più belle al mondo. Consigliata agli americani dall’autorevole New York Times. Il “gato” dei “ciosoti” che gonfia il petto, togliendo per una volta un po’ di visibilità internazionale al più illustre ‘leone’ dei veneziani. Beh, per Chioggia una goliardica piccola rivincita. Così potrà mostrare ai turisti degli States anche l’orologio funzionante più antico al mondo, della Torre di Sant’Andrea. Torre ai piedi della quale c’è un altro “Gato” di cui i chioggiotti vanno fieri: il ristorante omonimo (“El Gato”) di Karen Boscolo e Tiziano Bissacco. Locale di lunga storia cittadina a cui la coppia negli ultimi anni ha dato uno stile nuovo e un linguaggio più contemporaneo, senza allontanarsi troppo dall’alveo della tradizione. Un sentiero innovativo che si riflette nella ricerca di accostamenti di sapori sempre nuovi e anche nell’estetica del piatto, sempre più curata. “El Gato” a una cosa resta fedele: il pesce. O meglio: i prodotti del mare e lagune, perché anche molluschi e crostacei sono materia prima viva a “metri 0” nei piatti. Selezionata con l’esperienza di chi fa questo mestiere da tanti anni. Pesce, si diceva. Del vicino Adriatico soprattutto, perché a Chioggia, città che è tutt’uno con il suo Mercato Ittico e con la sua flotta peschereccia (la più numerosa d’Italia), non può che essere così. E anche questo è un aspetto che piacerà agli americani.
Karen e Tiziano hanno reso particolarmente accogliente il locale, con qualche tocco raffinato e qualche opera d’arte. E poi c’è quella parete addossata alla torre e simbolicamente addossata alla storia…
Vista più nel dettaglio la cucina del “Gato”, dove è impegnato anche Daniele Bissacco, fratello di Tiziano, è cucina che ha trovato una felice sintesi fra lo ieri e l’oggi, fra tradizione e innovazione, fra concretezza e fantasia. La zuppa di pesce rivisitata con un fondo di zucca e cocco è un bel messaggio di stile: al bollito di gallinella (la “luserna”), scorfano, coda di rospo viene aggiunto un fumé di pesce. Un altro esempio: i fasolari, mollusco tipico dell’Alto Adriatico, un po’ troppo dimenticato in realtà: al “Gato” viene valorizzato anche per farne un ragù con cui condire gli spaghetti o le pennette ed è sorprendentemente delicato. Geniale il filetto di triglie con “castraure” di Sant’Erasmo caramellata e bottarga di branzino. Ma anche sui classici, come il bollito misto della tradizione chioggiotta, si nota una cura particolare. Nella scelta della materia prima come nella delicata cottura. Non mancano mai cappesante e canestrelli, il cui profumo è ancora quello che avevano in mare. Anche i calamaretti spillo (quando ci sono), scottati e su vellutata di patata viola e tartufo nero, lasciano un’impronta d’Adriatico. Fra i primi da provare la lasagnetta di pesce e i tagliolini ai cinque sensi, dove c’è pure la “granseola”. Fra i secondi non mancano la grigliata di pesce del giorno, la frittura mista e il rombo ai ferri. Se Karen è in vena prepara anche la tradizionale “luserna incorcià”, il più tipico dei piatti chioggiotti. Un bel compendio della proposta del “Gato” si ha nel menu degustazione, che prevede (per 65 euro) quattro portate. Sui dolci c’è varietà, spicca la piccola pasticceria.
La carta dei vini è ampia e aperta al nuovo. La fanno da padrone bollicine e bianchi. Basta osservare le canti nette a vista che arredano il locale.
L’orologio della Torre di Sant’Andrea batte i suoi rintocchi mentre si indulge in ciacole. Anche per ascoltare quell’inconfondibile accento del dialetto chioggiotto. Su corso del Popolo lo scalpitìo del passeggio si fa rado. A fine pasto, quando si esce (specie di sera), se ne gode l’eco.
Il professor Luciano Bellemo, che ne sa uno più del diavolo, sulla storia di Chioggia, ricorda che il “gato” di Chioggia, quello del monumento vicino al ponte di Vigo, venne costruito per fare uno sberleffo ai dirimpettai della Serenissima, che se la tiravano troppo. Ma sono gli stessi veneziani, oggi, a sorridere di questo aneddoto. In fondo quel “gato” un po’ di americani in più quest’anno li porterà anche da loro…
Articolo a cura di Renato Malaman.