Granchio Blu, protagonista dell’estate. Ma in negativo

La presenza di questo crostaceo nelle lagune del Veneto sta diventando un’emergenza che mette a rischio il comparto della mitilicoltura regionale

Si chiama Callinectes sapidus, ed è il protagonista di questa estate. Ma in negativo! Seppur diventato uno dei nuovi piatti che hanno accompagnato la stagione balneare, anche grazie a ricette su cui si sono cimentati i migliori chef, il problema rappresentato da questo granchio è a dir poco allarmante, soprattutto per il numero raggiunto. I dati sono inquietanti. Solo quattro anni fa nelle lagune venete ne erano stati raccolti appena un centinaio di chili, ma quest’anno le nasse hanno catturato più di 300 tonnellate di granchi blu. Stiamo parlando di un granchio che arriva a un chilo di peso, per 15 centimetri di lunghezza e 25 di larghezza, e vive dai tre a quattro anni con una maturità sessuale tra i 12 i 18 mesi. Ciò significa che una femmina, nell’arco della sua esistenza, può deporre dalle 2 agli 8 milioni di uova. La laguna di Venezia è diventa una incubatrice di una bomba esplosiva in quanto qui non trova competitori e nemmeno predatori. Nel suo habitat di provenienza, ossia le coste atlantiche di tutto il continente americano, dalla Nuova Scozia, a nord, fino all’Argentina, a sud, rappresenta una fonte importantissima di cibo per i suoi predatori naturali, cioè anguille, razze, squali, ma qui il suo numero dipende solo dalla disponibilità di cibo. A tal proposito, va detto che nella sua dieta rientra praticamente tutto, anche sé stesso: è cannibale! Però il vero rischio e allo stesso tempo il vero motivo della sua proliferazione è che di cibo ne trova molto. Le nostre lagune oltre a garantire un habitat ideale – il granchio blu vive tranquillamente a temperature comprese tra i 3 e i 35 gradi, si trova bene anche nell’acqua dolce dei fiumi tanto quanto in quella salmastra delle paludi – forniscono i suoi cibi preferiti, ossia vongole, cozze, ostriche che soprattutto per il Delta del Po rappresentano un comparto dell’itticoltura che vale milioni di euro.

Come in molti altri casi della storia, la sua presenza in Veneto ha cause antropiche. Non è stato portato da chissà quali correnti marine, ma è arrivato comodamente in nave, quelle del commercio internazionale, venendo caricato accidentalmente sui grandi cargo con  l’acqua di stiva, quella che serve per equilibrare il natante. Il problema è che poi quest’acqua non è stata filtrata prima di essere riversata a fine viaggio, lasciando liberi i granchi blu di invadere i nuovi fondali. Si tratta, dunque, dell’ennesimo esempio di come anche le più semplici azioni umane siano in grado di danneggiare gravemente l’ambiente. In questo caso, non sono servito sversamenti di idrocarburi o emissioni di gas serra a creare un’emergenza, ma è bastata la noncuranza di liberare una specie non autoctona in un diverso ecosistema. Un errore ripetuto più volte nella storia recente della regione, il granchio blu – infatti – rappresenta solo la nuova specie aliena dopo: nutrie, gamberi dell’Alabama e pesci siluro, oggi così tanto diffusi da aver portato sulla soglia dell’estinzione altre specie ittiche fluviali. L’aggravante in questo caso, rispetto agli esempi precedenti, causa solamente – se così vogliamo dire – di problemi ambientali, è che il granchio blu rappresenta una vera minaccia per l’economia di un settore  regionale non in più in piena salute. La molluschicoltura, infatti, rappresentava forse l’unica nota lieta di un comparto che da anni si barcamena tra le difficoltà create dalle nuove direttive europee sulla pesca e quelle portate dal cambiamento climatico. E il climate change di certo non faciliterà la lotta alla presenza di questo crostaceo, se è vero quanto sostiene Gianmichele Passarini, presidente di Cia-Agricoltori Italiani Veneto, ossia che: “È una mera illusione sperare di eradicare totalmente questa specie nel breve-medio periodo. La specie per riprodursi ha bisogno almeno di circa 25 parti per milione di salinità e con la progressiva marinizzazione delle aree lagunari, delle foci e degli estuari dei fiumi l’habitat ad essa congeniale è destinata a diventare sempre più grande”. Dunque gli 80 mila euro stanziati dalla Regione Veneto per i primi studi e i quasi 3 milioni di euro stanziati dal Governo, già paiono insufficienti per mettere in piedi una seria attività di contrasto. Ancora al vaglio sono pure le misure straordinarie concesse dal Ministero dell’agricoltura attraverso l’autorizzazione all’uso di “nasse/cestelli e reti da posta fissa” entro la fascia 0,3 miglia dalla costa e in prossimità della foce dei fiumi per aumentarne la raccolta che tuttavia non è destinata a nulla se non al macero. La vendita del granchio blu, infatti, seppur apprezzato da diversi mercati, è pregiudicata dalla sua quantità, il prezzo di vendita è crollato e diventa impossibile farne una fonte di reddito anche perché la sua pesca non è ancora normata come pure la sua conservazione prima del consumo.

Tuttavia sarà importante fare presto, perché il problema oggi non è già più del solo Veneto.

 

 

 

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