Le Seppie, prima di mangiarle bisogna pescarle
Intelligenti parenti dei polipi le più pregiate sono quelle “officinalis”
Fra le cinque specie di seppie, cefalopodi della famiglia delle “Seplidae”, quella più ricercata è quella che i pescatori delle lagune venete chiamano semplicemente “nostrana”, lasciando ai biologi l’onere di darle il nome ufficiale di “Sepia officinalis”. Un genere, al contrario di quello delle cugine degli oceani e dei mari d’oriente, che ama vivere nei fondali poco profondi e predilige quelli sabbiosi, melmosi o dove si trovano praterie di posidonia. Ecco dunque spiegato perché la poca profondità dell’Adriatico consente alla “Sepia officinalis” di vivere anche lontana dalle coste, ad eccezione dei periodi di deposizione delle uova.
Quando, in primavera e in autunno, migra verso le rive o dentro alle lagune per depositarle e non è raro trovarle anche lungo le spiagge come grappoli di acini e chiamati uva di mare. E’ da queste microsfere gelatinose che stagione dopo stagione, le seppie perpetuano il loro ciclo vitale. Fatti salvi gli incidenti di percorso che, per fortuna delle buone forchette, le vedono finire nei tanti tipi di trappole che i pescatori hanno imparato a disseminare lungo i loro percorsi di andata e ritorno dal mare alle lagune e alle rive e viceversa. Strumenti ingegnosi: come i saltarelli, formati da reti fissate su bassi fondali delle lagune con paletti, che terminano in un cogollo o bertovello, dove entrano le seppie, cercando di aggirare la rete. Ma anche altri attrezzi, sempre e per lo più formati da reti dai nomi anche pittoreschi e onomatopeici, come “sepera” (tramaglio) o “tartana” e che vengono usati in relazione al periodo e ai luoghi di cattura. Laguna o mare aperto che sia o dove i pescatori, appunto, vanno ad inseguire le prelibate prede che navigano verso la loro maturità, non prima però di avere tentato di pescarle quando sono ancora di piccola o piccolissima pezzatura, anche con la pesca con l’amo. Ghiotti bocconcini che mondati del piccolo osso, occhi e rostro, che sembra un becco di pappagallo, diventano irresistibile prelibatezza una volta che sono stati avvolti da leggera infarinatura e tuffati nell’olio caldo per qualche minuto; con o senza il loro piccolo sacchettino di inchiostro nero che si può lasciare o meno all’interno delle seppioline. Leccornie, che talora riescono a sfiorare anche cento euro al kg, soprattutto se la stagione di pesca non è stata prodiga di catture, come vorrebbero invece i gourmet e, ovviamente, anche i pescatori.
Piccolissime sono perfette per la frittura, mentre, con l’aumento delle pezzatura meglio se vengono arrostite, preparate in umido o semplicemente bollite. Magari condite con un filo d’olio di oliva dei Colli Euganei che per la sua delicata leggerezza non altera la naturale sapidità di questi prelibati cefalopodi.
La “Sepa de Ciosa”
La seppia, da sempre pescata dalle marinerie di Chioggia e lavorata con sistemi tradizionali dagli stabilimenti della città è garantita dal riconoscimento ufficiale di prodotto tradizionale ottenuto con il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e l’inserimento nella “Quattordicesima Revisione dell’Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali”. Il primo requisito è che questo mollusco cefalopode, denominato: “seppia bianca di Chioggia”, “sepe de Ciosa” o “seppioline di Chioggia”, provenga esclusivamente dalla pesca locale, la seconda invece riguarda le particolarità della tecnologia produttiva impiegata a Chioggia a partire dalla prima metà del secolo scorso, quali l’eviscerazione e la spellatura rigorosamente manuale del cefalopode e i ripetuti lavaggi in acqua salmastra depurata sotto pressione. Proprio il trattamento esclusivo con acqua salmastra depurata, la cui salinità e composizione in microelementi coincidono con quella dell’ambiente naturale in cui il mollusco vive, consente di ottenere un prodotto finito di particolare pregio. Il marchio serve a garantire al consumatore la certezza di un alimento di eccellente qualità organolettica, perché ottenuto attraverso processi produttivi che ne determinano la genuinità.
La CURIOSITA’
Fra i pescatori chioggiotti, quando vengono pescate di grande pezzatura, oltre il kg di peso, non è inconsueto che valga ancora la vecchia tecnica di preparane qualcuna per metterla poi ad essiccare e trasformarla in cibo da strada, o meglio da tasca. Come facevano usualmente i loro nonni che dalla seppia secca ricavavano delle listarelle da tenere appunto in tasca e da masticare per fermare i languori lontani dall’ora di pranzo o cena o quando in mare, sui pescherecci, non c’era il tempo per preparare da mangiare e si doveva pescare.