Risi, Bisi e San Marco il 25 aprile

La ricetta veneziana per antonomasia, piatto da “dogi” nel giorno del Santo Patrono

Il doge Pierpaolo Strigheta stava sulle spine. Era il giorno di San Marco, il 25 aprile, la festa più importante dell’anno, ma il suo momento di gloria rischiava di essere offuscato

“Alora, Zanetto – esordì il Doge, calandosi tutto tronfio nella parte – cossa ti me disi de sto fasàn in umido?”

Zanetto infilzò sulla sua forchettina professionale un bocconcino di fagiano, lo studiò coscienziosamente tra lingua e palato, lo triturò delicatamente con i soli denti anteriori e dopo diversi istanti lo inghiottì. Ma la sua faccia aveva assunto un’espressione perplessa.
“Cossa te par, ghe xé el velén? – chiese ansiosamente il Doge.
“Veleno no, Ecelensa, però…”
“Però?”
“Però con tutto il rispetto non è fagiano. Ė gallina”.
Il Doge impallidì. Anche parecchi convitati impallidirono. Gallina al pranzo di San Marco? Ma che scherzi erano quelli?
“No ghe credo. Gò ordinà fasàn, e gà da essere fasàn. Ti xé ti che no ti capissi gnente – reagì rudemente il Doge. E aggiunse:
“E magari ti me dirà che sto figà a la venexiana no xé figà? – insinuò sarcastico.
“Ė fegato senza dubbio, Ecelensa, però…”
“Però? Sentìmo, sentìmo” – sbottò Strigheta, sull’orlo della disperazione.
“Però è di bue. Il fegato alla veneziana deve essere di vitello, non di bue, Ecelensa”.
Strigheta decise di incassare, e con l’ultimo brandello di dignità giocò il tutto per tutto: i risi e bisi, il piatto tradizionale veneziano, immancabile alla mensa dei dogi il giorno del santo patrono e venerato al pari di esso. Il vero banco di prova della venezianità, il suo biglietto da visita nel mondo. La zuppiera fumava e il suo contenuto ancora dava gli ultimi scoppiettii di dolce bollore al candore del riso e al verde prato dei piselli, infiorati di delicate foglioline di prezzemolo occhieggianti in mezzo alla burrosa mantecatura.
“Te sfido a trovarghe dei difeti. Avanti, tasta sta bontà” – invitò il Doge, e si adagiò contro lo schienale assaporando la vittoria.
Ecelensa ilustrissima, col vostro permesso non ho bisogno di assaggiarla per poter dichiarare con la massima onestà che questa roba è una porcheria, e vi spiego perché. I piselli sono del tipo a buccia dura, il riso è troppo cotto e la consistenza è troppo densa. Se volete mangiarla, male non vi farà, ma resta una porcheria”.
Il verdetto era inappellabile. Un margravio e un paio di dame svennero. La Dogaressa nascose lacrime desolate in un fazzoletto, uno dei maggiordomi si strappò le vesti e l’arcivescovo di Costantinopoli esorcizzò la tavola con un crocefisso tempestato di rubini.
Il Doge era impietrito. La disfatta, completa. Da domani il mondo avrebbe saputo qual era il trattamento che la Serenissima Repubblica riservava ai suoi ospiti e alleati più prestigiosi, e quanto miserevole fosse l’inettitudine del suo più alto rappresentante.

25 aprile l’ora X dei Risi e Bisi (riso e piselli)

Lasciamo perdere l’idea che questa minestra si possa preparare tutto l’anno. Volendo si può fare con piselli surgelati (non oso pensare con quelli in scatola) e dado vegetale pronto. Ma se oggi vi fosse ancora il doge a governare la Serenissima Repubblica, ne sarebbe soddisfatto?
Lo starter storico, come in una gara sportiva, avveniva il 25 aprile, giorno dedicato a San Marco, dove il Doge aveva il privilegio di consumare per primo questa minestra.
Dall’ Archivio di Stato dei Frari sono raccolti “i fogli” dei banchetti di stato (nella cancelleria inferiore periodo 1732-1798) dove vengono descritti i banchetti ufficiali. Come giustamente segnala il Pelle, al banchetto prendevano parte il doge, le maggiori autorità dello stato, una rappresentanza del Maggior Consiglio e gli ambasciatori accreditati presso la Serenissima. Il menù conservato nell’Archivio di Strato era di 13 portate, alternati, di carni e pesci. Il banchetto di San Marco è l’unico in cui figurano i “risi e bisi”. Dopo un “ordovre” di biscotti e robe salate, cominciava il banchetto vero e proprio con 26 “scudelle” d’argento (lo scalco maggiore le aveva prelevate alla Zecca) di cui 13 erano di riso e altrettante di “bisi col persutto”. I bisi nostrani, arrivavano da Sant’Erasmo, Cavallino, Estuario e forse dagli orti di Chioggia.

 Gli ingredienti sono quelli, non è chiaro se venissero consumati separati, o se ogni commensale mescolasse nel suo piatto i due elementi. La quantità è essa stessa leggenda: il piatto quel giorno era particolarmente ricco e contava per ogni chicco di riso un pisello.

La Ricetta – Risi e bisi

Ingredienti per 4 persone:

1 kg di piselli freschi
200 gr di riso vialone nano
40 gr di burro
40 gr di prosciutto crudo tagliato a listarelle
½ cipolla affettata
1 cucchiaio di prezzemolo finemente tritato
1 litro di brodo vegetale
40 gr di Grana Padano o Parmigiano reggiano grattugiato
sale e pepe

Esecuzione:
Sgranate, lavate e scolate i piselli. Ponete in una casseruola 20 gr di burro, il prosciutto a listarelle, la cipolla e il prezzemolo. Fate rosolare a fuoco moderato, poi aggiungete i piselli. Mescolate, lasciate insaporire, bagnate con metà del brodo a disposizione, versato a poco a poco, e portate i piselli a metà cottura.

Versate nella casseruola il brodo rimasto, portate a bollore e fate scendere a pioggia il riso.

Portate a cottura il riso, mescolando con delicatezza; regolate il sale, aggiungete il burro rimasto, spolverizzate con un po’ di pepe macinato al momento e con il grana grattugiato, quindi servite. La consistenza dovrà essere quella di un risotto molto liquido, quasi una minestra.

 

Foto di copertina – Di Ilaria22 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24468977

 

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